E’ un ritorno quello di Fabio Raimondi a Cantù. La Unipol ha infatti ingaggiato per la nuova stagione il play di Porto Torres, reduce dalla campagna azzurra in Sud Corea con un solido quinto posto al Campionato del Mondo. Dopo tre stagioni isolane, Raimondi ha deciso di accettare la chiamata di coach Abes e tornare a far parte della scuderia del presidente Alfredo Marson, avendo già vestito la maglia biancoblu per 3 stagioni dal 1992 al 1995 e l’ultima volta nel 2010 quando sulla panchina brianzola sedeva Marco Bergna. “Giocare per la Unipol è un grande stimolo per me – ha dichiarato Raimondi, classe 1972 -, voglio misurarmi ancora ad alti livelli e questo mi sembra il posto migliore”. L’obiettivo a medio termine non è un mistero: arrivare al top della forma ai Giochi Paralimpici di Rio 2016. Lombardo di nascita (nato a Ceserano, in provincia di Bergamo) ma ormai sardo di adozione (vive stabilmente a Sassari con la moglie dal 2011), Raimondi ha iniziato a giocare a basket nel 1991 a Bergamo. Un pezzo importante della sua più che ventennale carriera ruota attorno a Roma: 10 anni nel Santa Lucia (1995-2004), con cui ha vinto moltissimo, e nel mezzo una stagione internazionale al Fundosa di Madrid (1999-2000). Il palmares del più famoso Numero 4 italiano è di quelli importanti: quattro scudetti, 3 Coppa Italia e una Supercoppa in Italia, mentre in Europa ha sollevato ben due Coppe dei Campioni, una Vergauwen Cup e l’anno scorso la Brinkmann Cup. Oltre ai trofei di club, con la maglia della Nazionale italiana – nella quale gioca quasi ininterrottamente dal 1992 – è salito per due volte sul tetto europeo (nel 2003 e nel 2005). “Nonostante tutta la strada fatta – ha rilanciato Raimondi – a 42 anni la mia testa è ancora ad alti livelli. Certo il fisico conta, non posso dire di essere veloce come 10 anni fa ma faccio molti sacrifici per mantenere questa condizione atletica. Mi alleno 5 ore tutti i giorni. Anche lasciare Porto Torres non è stata una scelta facile: ero capitano e la mia casa è vicino al palazzetto. Vengo a Cantù perché è una società ambiziosa, con obiettivi alti. Voglio continuare a vincere. E poi farlo davanti a mille persone è davvero un’altra cosa, non capita da nessuna parte. Ci si sente parte di un progetto che va al di là del basket”. Nella memoria di tutti i suoi avversari, Fabio Raimondi viene catalogato come cecchino infallibile dalla lunga distanza, vera bestia nera dall’arco. E l’età in questo ha solo aggiunto esperienza, tanto che nel Mondiale appena concluso in Corea il play azzurro si è piazzato al terzo posto nella classifica dei tiri da 3 punti. “Tutti mi chiedono da dove arrivi questo talento – ha spiegato Raimondi, la cui disabilità è dovuta a un osteosarcoma alla colonna vertebrale all’età di 11 anni -. Beh, è molto semplice: quando andavo a scuola il professore di educazione fisica ci faceva giocare sempre a basket, forse perché era l’unico gioco in cui potevo partecipare anche io. Ma in campo non riuscivo a fare granché all’epoca: i miei compagni mi passavano la palla e io tiravo. Dovevo metterla dentro per forza”. Da quei tiri nel campo della scuola alle Paralimpiadi, con determinazione e passione. “Punto su Rio 2016 – ha confessato il play -. Voglio farmi trovare pronto per quell’appuntamento. Non è ancora tempo per smettere di giocare: in Italia ci sono pochi punti 2.0 come me, quindi per me è doveroso restare e continuare a dare il massimo. Se nei prossimi due anni si farà avanti un giocatore più forte di me, lascerò il campo volentieri. Ma dovrà prendersi il mio posto con merito, io per ora non mollo”. (Foto Ufficio Stampa FIPIC)