Questa è la storia di Paolo Crespi, atleta della Briantea84. Nelle sue parole - scritte per una tesina scolastica - leggiamo la scoperta del basket in carrozzina, tante emozioni e una rinascita, fatta di sport.
Ho iniziato a praticare il basket “in piedi” all’età di sei anni, e fin da subito me ne sono innamorato. Giocavo in una piccola squadra di paese, ed è proprio qui che ho iniziato a trasformare questo grande sport nella mia passione. All’età di tredici anni, però, un duro colpo: mi è stato diagnosticato un tumore alla gamba, precisamente sotto al ginocchio, che interessava parte della tibia e dei tessuti molli. La prima domanda che ho rivolto ai dottori, quando mi hanno comunicato la tremenda notizia, è stata: “E come farò a tornare a giocare a basket?”. Mi sono sentito rispondere che la mia carriera da cestista era finita; avrei potuto però iniziare a praticare il nuoto, mi dicevano, per sviluppare i muscoli della schiena e della gamba, che dopo una lunga operazione e con l’impianto di una protesi sarebbe guarita, ma io non volevo: la mia passione era il basket.
Quando i miei problemi di salute si sono risolti, compromettendo però il normale funzionamento della gamba, sono stato contattato via facebook da un ragazzo che mi invitava a partecipare come spettatore ad una partita giocata da una squadra che faceva proprio a caso mio: la Briantea84 di Cantù, squadra di basket in carrozzina, già presente in serie A da parecchi anni. L’invito mi ha incuriosito parecchio; quando ho fatto leggere il messaggio a mio padre, la reazione è stata piuttosto fredda, ma grazie alla mia testardaggine si è convinto e siamo andati al Palazzetto sportivo di Seveso. Appena arrivati ci ha accolto il presidente della società, Alfredo Marson: un personaggio unico nel suo genere, capace cioè di trasmetterti tutto il suo amore per il basket “su ruote”. È stato proprio lui a parlare con mio padre e a convincerlo a portarmi ad un allenamento di prova. Cosa dire della partita? Al primo impatto è stata veramente emozionante, perché vedere uno sport così poco conosciuto ed inconsueto mi ha dato molto da pensare. Tornato a casa ho avuto modo di riflettere sulle possibilità di un vero allenamento su due ruote: non vedevo il momento di provare! Il sabato, l’attesissimo primo giorno in cui mi sarei allenato con la squadra giovanile, lungo tutto il tragitto da casa al Palafamila di Baruccana di Seveso, ho pensato a tutte le difficoltà che avrei potuto incontrare su quel campo di gioco. Ed è stato davvero così! Tutto, all’inizio, si è rivelato un vero e proprio disastro! Coordinare il movimento della carrozzina con il palleggio mi sembrava quasi impossibile: il regolamento prevede infatti almeno un palleggio ogni due spinte, e questo mi pareva già un ostacolo insormontabile. Le mani piagate e sanguinanti mi hanno fatto capire immediatamente che si trattava di uno sport duro, faticoso, “doloroso” nel vero senso della parola. Ma io sono un testardo, nonostante tutto, e dopo aver meditato sul da farsi ho preso la decisione di iscrivermi nella squadra.
Il wheelchair basketball si caratterizza per la complessità delle scelte tecnico-tattiche individuali e di squadra. Le regole di base sono le stesse delle partite dei “normodotati”, ma il quintetto che si andrà a schierare in campo non dovrà superare 14 punti complessivi. Mi spiego meglio: ad ogni giocatore viene assegnato un punteggio che varia tra 1 e 5 punti in base alla propria disabilità; i numeri bassi (compresi tra 1 e 3) equivalgono ad una disabilità maggiore, mentre i numeri più alti (tra 3,5 e 4,5) equivalgono aduna disabilità minore; chi è normodotato totalizza 5 punti. Una squadra wheelchair potrebbe essere composta per esempio da un normodotato (5 punti) e da quattro ragazzi con disabilità più gravi (5+3+2+2+1=13). Ebbene sì, anche le persone cosiddette “normali” possono entrare a far parte di una squadra di basket in carrozzina, ma sono escluse dalle varie coppe internazionali.
Ho iniziato ad allenarmi duramente e dopo qualche mese, come in tutti i campionati, sono arrivate le Final Four. Ero davvero teso: si trattava delle finali del Campionato Nazionale Italiano e in palio c’era il tricolore: uno scudetto verde-bianco-rosso da cucire sul petto della maglia. Il sogno di ogni sportivo! Giocavamo contro Vicenza, un team che non era più forte di noi sulla carta, ma una squadra molto astuta in campo. È stata la mia prima, amara sconfitta: tra le lacrime di disperazione ci siamo aggiudicati il secondo posto del Campionato.
In questi ultimi due anni, con la supervisione di Malik Abes, un coriaceo allenatore francese poliglotta, la squadra giovanile è cresciuta tantissimo: è più forte e unita, dettagli tecnici come la precisione di tiro e la difesa sono migliorati, la nostra determinazione in campo è sempre al massimo! In pochi ormai riescono a batterci, e siamo detentori degli ultimi due titoli Nazionali (la Briantea ne ha totalizzati ben sei). La voglia di migliorare ci spinge a non accontentarci mai: l’allenamento ci impegna molte ore a settimana, e durante queste lunghe sessioni in palestra affiniamo la difesa e il tiro; negli scontri le carrozzine fanno scintille, i raggi in fibra di carbonio si rompono, le ruote si ovalizzano; a volte addirittura le camere d’aria scoppiano e nel boato assordante sentiamo il suono dell’energia di chi non vuole arrendersi mai!
Siamo atleti veri, che si scontrano anche duramente in campo, mostrando i denti; poi, finita la partita, una pacca sulla spalla ed un “cinque” che stempera ogni avversità. A volte commettiamo qualche scorrettezza, e l’avversario vola con le ruote all’aria (letteralmente!). Il pubblico non abituato si spaventa, ma subito si sorprende nel vedere che con un balzo siamo nuovamente in piedi... ops!... sulle ruote. Siamo atleti veri! Forse solo un po’ sfortunati: a qualcuno manca un arto, sostituito da una protesi; altri sono spine bifide o sono paraplegici costretti su una sedia a rotelle per la vita intera. Noi non abbiamo perso la speranza, non ci siamo arresi, e il basket ci offre una grande lezione di vita: nonostante la disabilità abbiamo una marcia in più, sappiamo il valore che c’è nell’amare il nostro sport preferito, la nostra grande passione!
Per qualcuno, i più ignoranti di solito, siamo solo degli “handicappati”. Ma voi pensate veramente, dopo averci visto giocare una partita di wheelchair basketball, dopo averci visto lottare, correre, cadere e poi rialzarci, segnare, vincere o perdere, disperarci o gioire tutti insieme, che siamo poi così diversi da voi? Io direi proprio di no!
Paolo Crespi